ORIGINI LATINE E NON SOLO
- Glauco Nespeca
- 18 dic 2015
- Tempo di lettura: 14 min
Aggiornamento: 25 ott 2023
pugilato: il pugilato latino (pugilatus caestis)
prevedeva l’uso dei «cesti», mentre quello greco
(pigmachia) veniva praticato indossando gli himantes
e prevedeva anche colpi sferrati con le gambe (un
antenato della moderna kick boxing). Sia i caesti che
gli himantes erano qualcosa di simile ai moderni
guantoni, ma mentre gli himantes erano lunghi lacci
di cuoio intrecciati sulla mano, i «cesti» erano più
pesanti e complessi, fatti di strati di pelle che
avvolgevano la mano sino al gomito (a volte fino al
bicipite) con lacci e corde che li tenevano ben saldi
sul braccio; una cintura di cuoio spesso tenuta
insieme da altri lacci e rinforzata da elementi
metallici proteggeva le nocche. Dalla tipologia del
guanto dipendeva in gran parte la modalità
dell’incontro di pugilato; si può quindi ritenere che il
combattimento greco fosse più naturale e meno
devastante negli esiti di quello latino; il caestus
infatti, dotato di una massa metallica che ne
accrebbe la forza d’urto, rese il pugilato simile, per
violenza di colpi, ad un incontro gladiatorio.
Dal sito http://www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/Cappelli/HortusApertus/vol_2/virgi_contes_28a.pdf
ORIGINE DEI GLADIATORI In origine, i combattimenti erano organizzati in occasione dei funerali di illustri personaggi o per la loro commemorazione, a spese dei familiari, allo scopo di immolare vittime agli Dei. Alcune decorazioni parietali in tombe di Paestum e Capua fanno pensare che l’origine dei munera (dono votivo e/o offerta funebre) sia da attribuire alle popolazioni sannitiche. Tuttavia non è da escludere nemmeno un’origine etrusca dei gladiatori, come lasciano supporre testimonianze archeologiche, in particolare pitture tombali, o urne e sarcofagi. La cosa più interessante però è la somiglianza incredibile tra alcuni nomi tipici del mondo gladiatorio a parole etrusche: ad esempio la parola “lanista”, che era il proprietario dei gladiatori, sembra sia mutuata dall’etrusco; soprattutto lascia pensare il nome del demone etrusco Charun, così simile a Caronte, il traghettatore dell’Ade nella religione romana, nonché lo schiavo armato di martellone incaricato di accertare la morte del gladiatore sconfitto, e di infliggerla nel caso questi fosse rimasto in vita contrariamente al volere dell’editor o dell’imperatore (vedi qui di seguito “Maschera e mazza del Caronte”). .I romani trasformarono i combattimenti e le rappresentazioni di forza dei sanniti, svolti in rare ed importanti occasioni, in tutt’altra cosa. Entusiasti di queste competizioni, le importarono nella loro società trasformandole in avvenimenti agonistici di particolare violenza, il più delle volte sadici. Dopo l’annessione del Sannio a Roma, la lotta tra guerrieri in un arena divenne lo sport nazionale. Erano nati i Gladiatori. Essendo, però, l’epoca così lontana, non sono pervenute sufficienti testimonianze, né le notizie giunte da testi latini sono complete, per avere un quadro preciso e ben definito del mondo dei Gladiatori; infatti, c’è da precisare che le fonti scritte non descrivono mai dettagliatamente gli spettacoli degli anfiteatri, in quanto sono sempre menzionati nel contesto più ampio di altre questioni. Inoltre, i reperti archeologici rinvenuti non sono completi e comunque risultano limitati rispetto alla durata dei giochi gladiatori, che sono esistiti per ben sette secoli; dato il lungo lasso di tempo, bisogna catalogare e dividere le informazioni pervenuteci, tenendo presente i periodi storici e l’egida dei diversi imperatori che hanno sancito la spettacolarizzazione dei ludi gladiatori. Questo studio è il frutto di ricerche su vari testi e visite a Musei che espongono reperti riguardanti i gladiatori. Da queste ricerche è stato tracciato un profilo di quello che oggi pensiamo possa essere l’icona del gladiatore di duemila anni fa. Il primo munus svolto a Roma avvenne presso il Foro Boario nel 264 a .C., organizzato dai nobili fratelli Marco e Decimo Giunio Bruto per commemorare la morte del padre, Giunio Bruto Pera. Da allora i munera ebbero un enorme successo tanto che pochi decenni dopo, nel 216 a .C., in occasione dei funerali di un importante uomo politico, furono più di 40 i gladiatori che si affrontarono in combattimento, mentre furono più di cento a scendere in arena per le esequie di Publio Licinio nel 183 a .C.. Il crescente interesse che questo genere di rappresentazioni riscosse, in ogni ceto sociale, fece si che lo spettacolo divenisse per i cittadini un divertimento e per chi li organizzava un mezzo di propaganda politica, tanto da perdere così nel tempo la loro funzione legata al culto propiziatorio o commemorativo per trasformarsi, poi, in “spettacolo”. Quindi gli aristocratici e soprattutto gli Imperatori, per ottenere il favore delle masse, si prodigavano ad offrire spettacoli sontuosi, immortalati nei versi degli scrittori latini del tempo: Svetonio, Tito Livio, Giovenale, Marziale ed altri ancora. “Panem et Circenses” scrisse Giovenale. Letteralmente significa “pane e giochi”, ma lo scrittore latino lasciava intendere, con una certa ironia, un concetto diverso: la volontà dell’Imperatore di distrarre il popolo dai veri problemi da cui era afflitto, come la distribuzione di generi alimentari, l’accesso ai bagni ed alle terme pubbliche. Insomma, un vero strumento nelle mani degli Imperatori per sedare i malumori popolari, che col tempo ebbero voce proprio in quei luoghi di spettacolo. La popolarità dei giochi divenne tale che anche l’oggettistica di uso quotidiano risentì di questa nuova passione (vasellame, mosaici ecc.). I combattimenti dal principio si svolgevano in prossimità delle tombe dei defunti da commemorare o nelle piazze dei Fori, ma per il numero crescente di spettatori che vi accorrevano fu necessario costruire appositi edifici adatti allo svolgimento degli spettacoli. Gli architetti concepirono perciò delle costruzioni estremamente funzionali allo scopo: gli anfiteatri (theatron = spazio destinato agli spettatori, e amphi = che corre tutto intorno), dapprima in legno poi in muratura. Il più famoso e il più grande di tutti fu l’Anfiteatro Flavio (il Colosseo) a Roma, i cui lavori di edificazione iniziati sotto l’imperatore Vespasiano nel 72 d. C., furono terminati dal figlio Tito nell’80 d. C., che per l’inaugurazione offrì giochi che durarono 100 giorni con notevole impiego di gladiatori e animali (venationes). Il ritrovamento di molti di essi e di strutture che ospitavano gli spettacoli di gladiatori è un’indicazione importante di come questi esercitavano una forte attrazione in quel tempo. CHI ERANO I GLADIATORI? Schiavi costretti a rischiare la loro vita combattendo in arena, o celebrità del mondo antico? In realtà c’è un po’ di confusione sull’identità dei gladiatori. Solitamente chi non ha mai avuto a che fare con questi personaggi pensa che siano schiavi. In realtà le cose sono un po’ più complesse. - SCHIAVI: Molti gladiatori erano schiavi che venivano acquistati dal lanista per il suo Ludus per la loro prestanza fisica o per una loro abilità pregressa nel combattimento. Spesso erano nemici di Roma divenuti prigionieri di guerra e quindi, in base al diritto romano, schiavi. In quanto schiavi, non sceglievano di combattere, ma vi erano costretti. Tuttavia, chi mai avrebbe combattuto dando il meglio di se stesso, sopportando allenamenti sfiancanti e una vita di oppressione, sapendo di essere comunque condannato a morire prima o poi da schiavo in un’arena? I gladiatori schiavi avevano un grande incentivo a battersi valorosamente: chi di loro avesse superato un gran numero di combattimenti conquistando il favore del pubblico e dimostrandosi meritevole, avrebbe ottenuto ciò che uno schiavo sogna fin dalla nascita: la libertà. Il Rudis era la spada di legno con cui si allenavano i Tirones, ossia i gladiatori all’inizio della loro formazione. Per i più valorosi e fortunati, il Rudis diveniva così il simbolo dell’inizio e della fine della vita da gladiatore: questa spada di legno infatti veniva consegnata al gladiatore al momento della sua manomissione, come simbolo della libertà. - EX GLADIATORI E UOMINI LIBERI: Nonostante ciò, molti gladiatori “Rudiarii”, ossia liberi in seguito alla consegna del Rudis, continuavano la loro carriera gladiatoria, in quanto questa prometteva lauti guadagni e un’enorme celebrità. Per le stesse ragioni, anche molti uomini liberi decidevano di intraprendere la carriera gladiatoria. L’attività gladiatoria era per il diritto romano un mestiere infamante. L’infamia comportava l’impossibilità di acquisire la cittadinanza romana (o la perdita della stessa), con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivavano, e la negazione del diritto di voto. - GLADIATRICI: contrariamente all’opinione comune, sono esistite gladiatrici donne, come testimoniano cronache dell’epoca, fonti legislative e reperti archeologici (per approfondire l’argomento, vedi la sezione “Classi Gladiatorie”) - NOBILI: è facile immaginarsi quindi lo scandalo che esplose quando, in preda alla passione per gli spettacoli gladiatori, che avevano raggiunto il loro apice, in arena scesero addirittura i nobili, come ad esempio Gracco, cavalieri romani (cronaca di Gaio Svetonio Tranquillo, 70.130 d.C.), nobili matrone, senatori, e addirittura imperatori!!! Infatti Gaio Svetonio Tranquillo ci narra che Caligola scese in arena vestito da trace, Nerone si presentò abbigliato come Ercole quando doveva uccidere il leone (ma il leone era dovutamente preparato a non reagire in alcun modo), sempre lo stesso Nerone fece scendere in arena 400 senatori e 600 cavalieri romani, mentre nella cronaca di Publio Cornelio Tacito (55-120 d.C) si legge che Nerone fece scendere nell’arena aristocratici, donne nobili e senatori per farli combattere tra loro. Elio Lampridio (III-IV sec. d.C.) invece riporta in modo particolareggiato la partecipazione di Commodo ai giochi gladiatori, non come spettatore, ma come combattente: circolava la voce che Commodo avesse preso parte a 735 combattimenti, vestendosi a volte da amazzone, e che avesse trascorso un periodo nella caserma dei gladiatori.
RUDIS Il “Rudis” è un gladio in legno che veniva utilizzato in allenamento per evitare ferimenti gravi nell’apprendimento dell’ ars dimicandi (arte del combattere). Probabilmente i Novicii inizialmente combattevano solo con il rudis, data la loro inesperienza. Il lanista infatti non poteva permettersi, dato il costo che sosteneva per l’acquisto ed il mantenimento dei gladiatori, che questi si ferissero gravemente. Anche dopo il passaggio all’uso delle armi pesanti, verosimilmente il Rudis continuava ad essere utilizzato nella fase di riscaldamento e per meglio apprendere le varie tecniche di combattimento. EQUIPAGGIAMENTO L’equipaggiamento dei Gladiatori non necessariamente era uguale per tutti, anzi per distinguerli tra loro e soprattutto per la necessità di spettacolarizzare i combattimenti, erano armati diversamente. L’imperatore Ottaviano Augusto, tra le varie riforme attuate nella sua carica, regolarizzò i combattimenti gladiatori distinguendoli per classi e tipologie. Esistevano, infatti, diverse categorie che venivano associate alla provenienza del guerriero che combatteva utilizzando armi e tecniche del proprio popolo; in seguito le categorie furono assimilate e quindi proposte ai vari gladiatori che si specializzavano nell’uso di una particolare arma o tecnica. Inizialmente si pensava che l’utilizzo del gladio, ovvero spada corta, nei munera, fosse un collegamento col popolo Sannita, in quanto, nelle famose guerre sannite, nel III sec. a.C., furono i primi ad utilizzare questa particolare arma in battaglia, poiché risultava più efficace nel corpo a corpo. In seguito il gladio fu associato sempre di più all’arma da combattimento principale di un gladiatore, ed infatti dal termine “gladio” deriva il nome “gladiatore” (combattente col gladio) L’associazione di un combattente ad una tipologia di gladiatore era deducibile anche al tipo di fisico che possedeva. Combattere con un equipaggiamento pesante era più indicato ad un gladiatore avente caratteristiche fisiche possenti. Chi invece era veloce nei movimenti era più predisposto all’uso della sica, sfruttando quindi i veloci affondi laterali. Chi era agile e resistente nella corsa si specializzava nel combattere contro il gladiatore che utilizzava rete e tridente, penalizzato in questo caso dal possedere l’arma lunga; il suo scopo era avvicinarsi il più possibile all’avversario per compensare il divario di lunghezza delle armi contrapposte e quindi rendergli difficile la maneggevolezza del tridente. Al contrario il reziario doveva essere molto abile nell’utilizzo della rete, per trovare un appiglio nell’armatura dell’avversario, ed anche esperto nei movimenti e robusto nel braccio, per portare colpi mortali mantenendo in equilibrio il tridente. C’è da premettere che non tutte le classi gladiatorie sono esistite contemporaneamente: alcune scomparvero già in età repubblicana come i Samnites, altre si modificarono come i Galli che divennero Mirmilloni, altre ancora come i Traci giunsero immutate sino all’età imperiale. Il vestiario era diverso a seconda della classe di appartenenza. Attraverso fonti storiche a disposizione, si possono identificare all’incirca una dozzina di categorie, non condivise però da tutti gli studiosi; non era facile, infatti, collegare i nomi alle iconografie a disposizione. Il perizoma (subligalicum), la cintura (balteus), l’elmo (galea), la protezione metallica per il braccio (manica), gli schinieri per proteggere le gambe (ocreae e cnemides) facevano parte del vestiario di uso comune a tutte le categorie. ARMI D’OFFESA Le armi che utilizziamo sono ricostruzioni quanto più fedeli, in peso e dimensioni, a quelle utilizzate dai gladiatori in allenamento e nei combattimenti. Durante gli allenamenti venivano usate anche armi di peso superiore a quelle con cui si combatteva; ciò per abituare il braccio ad un peso maggiore e quindi rinforzarlo. Il gladio era l’ arma tipica dei gladiatori, dalla quale gli stessi presero il nome. La sica, invece, è stata introdotta dal “Trace”, tipico guerriero della Tracia, che la adoperava in combattimento. L’ abilità nell’ uso di quest’arma ha fatto si che al Trace fosse attribuita una categoria di gladiatori. Il pugio (pugnale) era usato dal Reziario come seconda arma (la prima era la rete) e dal Dimachero, che combatteva con due pugi o con due gladi, o anche con un pugio e un gladio. Il gladio, la sica ed il pugio sono stati ricostruiti, come armi lusorie, ovvero non affilati e non appuntiti, essendo impiegati dai nostri gladiatori in allenamento ed in combattimento. PROTEZIONI ALTE: MANICHE E GALERI La manica era formata da piastre articolate o scaglie metalliche o, talvolta, da una stretta fasciatura di stoffa e cuoio. Serviva a proteggere il braccio dai colpi dell’ avversario e solitamente veniva indossata sul braccio in cui il gladiatore impugnava l’ arma d’ offesa, più esposta ai colpi, in quanto l’altro braccio era ben protetto dallo scudo. I movimenti del braccio protetto da una manica risultano leggermente limitati rispetto all’utilizzo di un gladio con il braccio libero da protezione. Ciò sta a significare che nella preparazione di ogni sorta di incontro, bisogna aver cura prima di una buona difesa e di ottime protezioni, per studiare successivamente un attacco efficace. Quindi, per quanto sia limitato il movimento del braccio, averlo adeguatamente protetto ne fa guadagnare una buona protezione ed attutire la forza dei colpi portati su di esso è fondamentale. Per il Reziario il discorso della manica è diverso rispetto agli altri gladiatori. Molte testimonianze, tra cui i famosi mosaici di Gladiatori esposti nella Galleria Borghese di Roma, riportano diversi Reziari che indossano la manica al braccio sinistro. Ciò farebbe presupporre che fossero mancini, e che quindi l’arma d’attacco fosse il tridente; invece il presupposto viene rovesciato se si considera che l’arma d’attacco del reziario non è il tridente, bensì la rete. Infatti si potrebbe elaborare un parallelismo tra la funzione difensiva dello scudo, che è quella di parare i colpi, e quella del tridente, che è quella di tenere lontano l’avversario. Pertanto questi gladiatori portavano la manica di protezione sul braccio sinistro, ovvero su quello con cui impugnavano il tridente, che non incontrava alcuna limitazione nei movimenti di affondo. La mano destra, invece, che utilizzavano per far volteggiare la rete, doveva avere piena libertà di movimento per attaccare ed afferrare il rivale o portargli via le armi, cosa che non sarebbe avvenuta se fosse stata presente in quel braccio la manica. La manica di protezione del Reziario era completata da un galero (galerus), ovvero una placca metallica di forma rettangolare fissata alla spalla del lato in cui il gladiatore utilizzava il tridente, parte più esposta ai colpi dell’ avversario. Il galerus si alzava al di sopra della spalla per circa 13 centimetri e serviva a proteggere la gola e la testa, in quanto il Reziario combatteva privo di elmo. ELMI L’elmo nella guerra “moderna”, come per gli antichi eserciti, è considerato un prezioso alleato, in quanto protegge il punto vitale della testa. Per il gladiatori invece combattere con un elmo non era necessariamente un vantaggio, nonostante la spessa consistenza di ferro attutisse adeguatamente i colpi ricevuti alla testa. I Gladiatori che indossavano un elmo avevano, infatti, lo svantaggio di sostenere un grosso peso e quindi di esercitare uno sforzo maggiore con i muscoli del collo; inoltre, la visibilità era limitata in quanto spesso gli elmi offrivano esclusivamente una visione frontale e limitata ai lati. Alcuni elmi avevano un'unica grata all’altezza degli occhi, altri addirittura dei piccoli fori. Ma l’inconveniente maggiore era un altro: gli elmi aderivano perfettamente alla testa del gladiatore altrimenti si sarebbero mossi durante il combattimento e quindi avrebbero creato un problema di visuale maggiore; l’aderenza al volto, però, limitava la capacità respiratoria e quindi era interesse del gladiatore cercare di finire l’incontro prima che la respirazione degenerasse (ecco perché il Secutor che solitamente era contrapposto al Reziario, che non utilizzava l’ elmo, doveva essere scattante e veloce nella corsa, per cercare di colpirlo mortalmente nel minor tempo possibile, onde evitare l’immancabile insufficienza respiratoria; al contrario, l’interesse del reziario era quello di prolungare il combattimento ed essere inseguito, quindi indebolire l’avversario e finirlo). Si pensa che l’utilizzo di questi tipi di elmi, a causa dei colpi ricevuti frontalmente, provocasse la rottura del setto nasale. PROTEZIONI BASSE: SCHINIERI Gli schinieri erano le protezioni del lato anteriore della gamba, fatti in metallo o in cuoio. Quelli usati dai gladiatori risultano di due tipi: cnemides e ocreae. I cnemides erano molto alti e coprivano fin sopra il ginocchio. Avevano una conformazione ad incavo all’ altezza del ginocchio, per consentire un comodo alloggio nella rientranza e quindi dare libertà di movimento in trazione. I Traci e gli Oplomachi li utilizzavano su entrambe le gambe, poiché, combattendo con un piccolo scudo, rimanevano scoperte. Le ocreae avevano una consistenza simile ai cnemides, ma a loro differenza erano più corte, offrivano il ginocchio libero e presentavano un incavo in basso per il piede. Erano usate dai Mirmilloni e dai Secutores, che, combattendo con scudi molto grandi, non avevano necessità di proteggere le ginocchia. Gli schinieri erano fissati ai polpacci tramite corde infilate in piccoli anelli posteriori. Sotto gli schinieri erano portate fasce di stoffa o di cuoio, che avvolgevano le gambe. L’ uso degli schinieri garantiva una sicura protezione agli arti inferiori, ma, di contro, la mobilità dei gladiatori risultava ridotta, in quanto il peso non consentiva spostamenti molto fluidi. GUANTI DI PROTEZIONE La protezione della mano del gladiatore che impugnava l’ arma d’ offesa (gladio, sica o altro) era costituita da un guanto, che poteva essere: di cuoio, di fasce sovrapposte di cuoio o di cuoio con piastre metalliche sopra applicate. Queste protezioni sono state riscontrate in diversi bassorilievi, ed in particolar modo nel Museo della Civitella di Chieti. Da uno studio attento risulta che diversi gladiatori ricorrevano a delle protezioni che avvolgevano completamente la mano che impugnava il gladio. PROTEZIONI DELLE COSCE Fasce protettive, costituite da strisce di cuoio avvolte intorno alle cosce, erano utilizzate talvolta dal Trace e dall’ Oplomaco.
Dal sito http://www.gladiatores.it/conoscere.htm
La dimensione agonale su cui si fonda allo stesso tempo l’identità politica interna e la rivalità bellica contro il nemico esterno – da intendersi come per- sistenza di un ideale regolativo che non necessariamente trova riscontro nella realtà dei fatti – appare come l’elemento caratterizzante anche del fante citta- dino dell’antica Roma. Del resto anche dal punto di vista tecnico “la sugge- stione del modello oplitico resiste, almeno in parte, fino all’età delle guerre puniche, e traspare, evidentissima, da alcune sopravvivenze tattiche”.29 In par- ticolare, si può ricordare il ricorso anche nei reparti romani ai triarii che inter- vengono nel caso in cui la battaglia non si sia ancora risolta dopo il ricorso alle prime due linee, gli hastati e i principes. La svolta decisiva in ambito tecnico ri- spetto allo statico stile oplitico del combattimento fu la suddivisione della fa- lange in manipoli. A partire dal IV secolo, i soldati del manipolo sostituirono l’antica lancia con il pilum che poteva facilmente essere scagliato contro il ne- mico e “si disfecero progressivamente anche del pesante equipaggiamento dell’oplite, adottando uno scudo leggero e rettangolare e in seguito una coraz- za uguale per tutti e molto più leggera [...] sufficiente per deviare i colpi di spada e le punte dei proiettili”.30
Un elemento essenziale per comprendere la forma della guerra romana è la fides. La parola fides si collega etimologicamente a foedus e a fetiales: “Sono proprio i feziali – il collegio sacerdotale preposto alla custodia del fas, del pre- cetto divino e della religione in tutto ciò che concerne i rapporti con gli altri popoli – a ratificare con un giuramento solenne i trattati (foedera) internazio- nali”.31 La fides deve caratterizzare il console o il pretore che continua l’opera dei feziali e ricopre dunque una funzione religiosa da cui trae origine il suo stesso imperium. Nel segno della vis o della fides violata iniziano le ostilità, sotto il segno della ricostituzione della fides si conclude il conflitto (Cicerone, De officiis, I, 41). Giovanni Brizzi osserva a tal proposito che almeno quando si è in presenza di un iustus hostis, cioè di un nemico regolare, “la guerra non deve essere frode sotto nessuna forma: la fides, cioè, dev’essere rispettata non solo nell’intraprenderla, ma anche in gerendo et deponendo, nel condurla e nel porvi termine (Cicerone, De legibus, II, 14, 34)”
Occorre tuttavia notare che il vincolo di fides fu originariamente ritenuto valido solo nei confronti delle popolazioni italiche culturalmente affini come etruschi e campani, e in seguito esteso ad altre genti legate alla repubblica da un foedus o formalmente ricono- sciute dallo stato romano. Certo, la vittoria può essere ottenuta anche attra- verso lo “stratagemma” – per usare il loro lessico peggiorativo la fraus, la perfidia o la calliditas – a cui i romani ovviamente non mancavano di ricorrere, pur stigmatizzandolo quando ad avvalersene erano i nemici, per esempio Annibale. Ma in quel caso la vittoria ottenuta non sarebbe stata ritenuta, almeno in linea di principio, onorevole. Aiace versus Ulisse si potrebbe dire, acclimatizzando in ambito latino una contrapposizione classica della grecità.
(La metamorfosi del guerriero – Massimiliano Guareschi, Maurizio Guerri )

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